Aldo De Poli / CONTRO IL RESTYLING DELLA STAZIONE CENTRALE DI ULISSE STACCHINI

 

Questo testo mostra come, improvvisamente, nel silenzio della stampa e nel torpore della coscienza civile pubblica, possa accadere che, in una grande città d’Italia, sotto gli occhi di tutti, prenda avvio un colossale processo che cancellerà l’identità di una parte molto nota della città.

Non si tratta solo della perdita fisica di un luogo: come tanti, può essere amato o odiato, desiderato o dimenticato in quanto parte di una vicenda urbana pur sempre viva. Si tratta invece della prova certa di un avvenuto scacco intellettuale e di una secca sconfitta culturale. Dall’intera storia qui ricostruita si dimostra come la cultura architettonica non sia ancora in grado di dare il giusto valore ai più singolari spazi interni prodotti nel corso della controversa storia del Novecento, fatte salve le apparenze rappresentate dalla conservazione di un originale involucro esterno. Si è di fronte a un evidente atto di amnesia e ad un segnale di palese scollamento tra diverse attese sociali.

Da una parte c’è un’opinione pubblica popolare che eccede nel mito ed esige, come a Venezia, la ricostruzione integrale di una certa sala teatrale, dall’altra, come a Milano, c’è un’opinione pubblica colta che sottostima del tutto l’integrità complessiva che caratterizza un qualsivoglia monumento, sia esso un teatro invecchiato, un castello trasformato in museo, un edificio moderno chiamato Arengario, ma anche l’innovativa e dilatata galleria pensile collocata presso i treni, concepita come una lussuosa piazza pubblica coperta. Dai fatti riportati, risulta chiaro che a Milano, all’inizio di questo nuovo secolo, si torna come in passato a soffrire di un male oscuro che convenzionalmente chiameremo “sindrome di Rovani”: essa consiste nel privilegio di coltivare l’avversione verso i monumenti antichi. Le dimostrazioni potrebbero essere molte.

Poiché mi considero un esperto di stazioni ferroviarie, mi limiterò ad accennare alle manipolazioni di cui sarà vittima la Stazione Centrale. Non solo perché apprezzo il treno che quasi ogni giorno utilizzo, ma perché amo ancor di più la bella architettura. Per questo da alcuni anni, nell’ambito dell’Università di Genova, conduco ricerche sulla migliore architettura delle stazioni ferroviarie in Europa. Alcuni di questi studi hanno portato alla preparazione del libro Stazioni. Architetture 1990-2010, curato da Cristiana Mazzoni e pubblicato nella collana di monografie tematiche dell’editore Federico Motta. Proprio questo volume, uscito nel novembre del 2000, ha il merito di avere, per la prima volta, presentato al pubblico come anticipazione contenuta nella sezione Nuovi Scenari, disegni significativi di questo progetto di radicale trasformazione della Stazione centrale di Milano, coordinato dall’arch. Tamino, oggi in discussione. Oltre, naturalmente, a diffondere una buona documentazione fotografica e progettuale sulle trasformazioni già realizzate nell’ala mazzoniana della Stazione Termini di Roma.

Curiosi sono i legami che uniscono due città culturalmente così diverse come Roma e Milano. Il caso ha voluto che la città capitale, dove più forti sono da sempre le memorie classiche e più consistenti gli edifici monumentali carichi di storia e di arte, si ritrovi oggi un edificio della stazione sobrio, razionale, modernista, e indirettamente di facile trasformazione. All’opposto, proprio la città dell’industria, della produzione e della trasformazione possiede la stazione dalle forme più compiute, più smisurate, dal più dichiarato carattere monumentale, con tutto quel che ne consegue in termini di inadeguatezze funzionali e di futuri vincoli.

Ora un progetto di radicale modifica sta per investire la Stazione centrale di Milano, concepita dall’origine come un complesso spazio cavo al‘coperto, esteso e decorato come un superbo edificio termale, molto sovradimensionato secondo la tradizione degli antichi.

Per usare un’immagine di facile comprensione, con il nuovo progetto si vuol passare da una sorta di classica sequenza di piazze coperte sviluppate su due soli livelli, il piano inferiore della strada e il piano sopraelevato della rotaia, ad un pittoresco e concitato edificio commerciale, attrezzato per la partenza, la sosta, lo shopping, i consumi, le feste e i divertimenti,‘articolato su almeno cinque livelli. Visto in sezione, sarà concepito come un nodo di scambio di percorsi, un astratto punto di attraversamento posto alla congiunzione di un banale reticolo di corridoi, gallerie, ascensori, scale mobili e balconate.

Il tutto senza apparentemente modificare la facies monumentale dell’involucro esterno, dalla vistosa configurazione mistilinea, ma già espressione di un’autorevolezza antica che ha oltre ottant’anni di storia.

Non è certamente la prima volta che in Europa la pressione del commercio investe un luogo di vita pubblica. Basti a pensare a quanto avviene tuttora sotto, dietro, nelle adiacenze, nei piani sotterranei, nei piani elevati degli antichi edifici che delimitano le bellissime piazze storiche d’Italia. Le stesse trasformazioni coinvolgono corridoi di aeroporti, atri di ospedali, foyer di teatri, hall di alberghi, spazi di accesso a quasi tutte le costruzioni di più recente realizzazione.

Si può affermare che mentre un tempo era la residenza a contraddire un rigido principio d’uso monofunzionale dello spazio collettivo (il re abitava nei palazzi della politica, i mercanti nei padiglioni della fiera, gli alunni nei chiostri  dell’istituzione formativa, persino i galeotti erano alloggiati nei luoghi della produzione) oggi è il commercio che s’incarica di pervadere tutto, per assicurare ovunque un palese ed esaltato principio di raggiunta varietà sociale e di contraddittoria multifunzionalità.

Quello che, ahimè, risulta poco lungimirante nella ben orchestrata operazione di trasformazione fondiaria in corso alla Stazione di Milano, è il cieco accanirsi su pochi e singolari luoghi fisici di evidente bellezza e unicità: le quattro o cinque sale d’ingresso e la Galleria degli arrivi, ambienti che occupano uno spazio minore rispetto ai dilaganti spazi tecnici presenti nel complesso di questa opera architettonica dai profondi meriti costruttivi. Quelli coinvolti dal progetto sono luoghi singolari che si presentano per scelta come spazi di dichiarata monumentalità, e allo stesso tempo si caratterizzano come frammenti urbani ben definiti, parte del patrimonio degli spazi pubblici facilmente raggiungibili della città. Al pari di questi, evocano ineluttabilmente emozioni collettive, memorie, gusti e culture storiche.

L’intera operazione inizia con un clamoroso errore di valutazione. Da parte della committenza c’è un evidente deficit culturale, l’incomprensione verso un profondo valore che non è più esclusivamente economico, ma è anche il segnale della reale qualità della vita sociale di una città. E’ evidente come fin dall’inizio ci sia una meschina volontà di confondere l’attitudine trasformativa di molti locali a vocazione industriale, ora abbandonati, la volontà di non intervenire nei vastissimi spazi di servizio sotterranei, ora inutilizzati, che nel loro insieme costituiscono i diciotto/ventesimi della cubatura complessiva dei fabbricati della Stazione Centrale. Tutto questo per infierire ciecamente in pochi luoghi già formalmente conclusi ma del tutto incompresi dalla committenza, ciascuno sapientemente evocativo di una fase precisa della nostra recente storia sociale.

E tutto per non aver saputo cogliere il valore dell’integrità che può esprimere un monumento come quel complesso così unico, che tanto impressionò l’architetto americano Frank Lloyd Wrigth, il quale, durante il suo unico soggiorno a Milano, lo definì la più bella stazione ferroviaria del mondo.

Mentre a Milano si attua questa infelice parcellizzazione, altrove, negli scali portuali d’Europa e d’America si procede in senso opposto: si conservano come musei i vuoti saloni impregnati di vicende umane delle moderne Stazioni marittime, si riapre la Grand Central Station di New York perfettamente salvaguardata e in tante stazione europee nel XIX secolo fra le più significative, si allarga la dotazione di servizi collettivi.

Nel rozzo programma italiano di investimenti immobiliari proposto da Grandi Stazioni, è lo stesso spazio architettonico - un bene collettivo di per sé come lo è il paesaggio naturale - che viene parcellizzato, banalizzato, venduto. Sottraendo eleganza, autorevolezza e qualità anche ad uno dei pochi luoghi d’arte del XX secolo, che allo stesso tempo può essere considerato uno dei cantieri esemplari dove si è espresso al meglio il genio costruttivo italiano.

Mentre altrove, scavando nelle piazze antistanti e riutilizzando fabbricati dimenticati senza più funzione, abilmente, il commercio viene fermato alle porte del Tempio delle partenze e degli arrivi, in Italia all’interno di edifici storici dagli equilibri delicati come in un museo, si apre la corsa alla reinvenzione, consapevole, di ambigui ambiti monofunzionali, destinati ad essere classificati come “non luoghi”. A causa di una mal verificata euforia produttivistica, si attua un folle disegno anche sul piano di una lungimirante politica commerciale. Si tenta, con mezzucci dai risultati modesti, di intercettare migliaia di individui. Ci si vanta pure di riuscire a far deviare e a trattenere un immenso flusso di folla, trasformando ogni frettoloso viaggiatore in un potenziale appagato acquirente. Le cifre reali di 120 milioni di passeggeri annui che convergono a Milano, fanno venire i brividi. Se non altro quando si pensa che oggi questa enorme massa defluisce lungo larghe scalinate e maestose piazze-sale coperte alte 15 metri, mentre in un prossimo futuro verrà di proposito incanalata in un anonimo reticolo di stretti corridoi e di piattaforme sostenute da pannelli standardizzati di 3,40 metri d’altezza.

Rispetto alle iniziative che si stanno promuovendo in altre città europee, manca del tutto una cultura dell’intervento progressivo, che parta dalla comprensione della realtà storica. E manca una ponderata tensione civile verso il benessere pubblico. Ben diverse sono le strategie urbane che si sperimentano in Europa sul tema dell’architettura ferroviaria. Le alternative oggi sono due. Si può promuovere una stazione dall’architettura del tutto nuova collegata ai nuovi impianti posti all’esterno della città, configurando il nuovo edificio come un nodo di interscambio tra reti di trasporti, a partire spesso dalle linee dell’alta velocità, come è avvenuto in Germania, Olanda e Francia. In alternativa, si interviene su stazioni già esistenti, con almeno un secolo di storia e con testimonianze di vita civica molto radicate, valorizzando spazi d’uso, restaurando antiche sale di rappresentanza, migliorando l’accessibilità e, soprattutto, accorciando all’estremo la lunghezza dei percorsi.

La stazione, un tempo suburbana ora centrale, assieme a piazze, musei, luoghi della cultura, luoghi del mercato e luoghi del tempo libero, continua così a rappresentare uno dei simboli della città moderna. Così avviene tutt’oggi per le stazioni di Londra e per le stazioni di Parigi o per la stazione di Atocha, a Madrid, tema di un complesso e ben articolato progetto urbano e architettonico di raddoppio delle sedi voluto da Rafael Moneo. In questo caso una nuova stazione si affianca all’esistente. L’invaso al coperto della vecchia stazione della fine del XIX secolo è stato recuperato e trasformato in giardino botanico al coperto, mentre una nuova stazione è rinata a poche centinaia di metri.

Radicalmente diversa è la linea di comportamento seguita nel caso della Stazione di Milano, che già di per sé è un esempio unico in Italia. Prima di tutto per la grandissima dimensione: l’area occupata dalle superfici coperte è di 316.000 mq. Poi per la perfetta soluzione compositiva di inizio secolo, derivata dall’adozione di un preciso principio tipologico impostato sulla presenza, possibile solo in una stazione di testa, di una lunghissima Galleria dei passeggeri. C’è qualcosa di simile solo a New York, a Francoforte e a Lipsia. E’ unica anche per il bizzarro pastiche di gusto eclettico che in ogni parte esprime, con marmi veri e marmi finti, cornici vere e fregi dipinti, con la continua commistione tra le discordanti eredità del classicismo, dello storicismo, dell’art nouveau, del deco. Persino per la compresenza di decorazioni tardofuturiste di Marcello Nizzoli che fanno da sfondo ad arredi storicisti e modernisti assieme, disegnati dallo stesso progettista Ulisse Stacchini.

Il programma operativo per Milano prevede di costruire un nuovo edificio dentro un altro, dando vita ad una dolorosa compromissione. Il nuovo intacca il vecchio, il che non è di per sè un male. Il problema è che qui ne mette in discussione il senso profondo. Per quanto innovativo e globale il progetto si sofferma, in un certo senso, solo su un 20% dell’esistente, manipolando radicalmente le poche sale di altissima qualità, persino nel loro gusto eclettico: la Galleria delle carrozze, l’Atrio della biglietteria, la Galleria degli arrivi fin dal principio concepita come una singolare piazza sospesa sopra il livello della città. Originariamente non c’erano né l’ufficio informazioni, né il bar, ma sei grandi finestre, oggi nascoste, che si aprivano sulle due piazze laterali: la bellezza di questa galleria sospesa, tracciata con le dimensione delle antiche sale delle Terme romane, consisteva proprio nel fatto di aprirsi su tre piazze.

Chi oggi ha progettato di perforare, soppalcare e ridimensionare una sala così singolare, che a Milano fa visivamente pensare alla spazialità della Galleria Vittorio Emanuele, preso il Duomo, dimentica quante altre possibilità di relazione esprime il progetto architettonico quando riesce a stabilire strette relazioni con gli spazi urbani che lo circondano.

Se pur aggressivi, quasi sempre i progetti di trasformazione commerciale riguardano spazi collocati davanti o attorno ai monumenti, ma quasi mai bucano o corrodono così profondamente edifici di alta qualità storica e architettonica come sta per accadere alla Stazione di Ulisse Stacchini.

Per poter garantire questa operazione sono necessarie ambigue procedure ad hoc. Ancor oggi, il destino finale dell’intero progetto non è ancor noto. Si è seguita una procedura che non è tra le più facili, dove il vero progetto, con i suoi 500 elaborati, è stato molto poco mostrato in pubblico. Forse solo in Conferenze nazionali dei Servizi. Non è arrivato ad alcun consiglio comunale o commissione edilizia. Il suo avvio è stato deciso dal Ministero delle Infrastrutture in una riunione con interlocutori scritti: non è senz’altro questa la procedura più aperta e più ricercata per avere un largo consenso sulle finalità del progetto. L’inedita procedura seguita, senza informazioni alla città, senza autorizzazioni comunali e senza dettagliati esami da parte delle Sovrintendenze, è stata resa possibile grazie alla legge Obiettivo.

Dispiace accorgersi come a Milano, a differenza che altrove, il promotore non voglia mostrare, e far proprio, il bello spettacolo dell’innovazione, temendo che da un confronto pubblico possa emergere che un tale nuovo, malgrado tutto, non comporta nuova qualità e non arricchisce la città di nuova identità.

Poiché la Stazione non è in questo momento sottoposta ad un intero progetto di riuso e di miglioramento, e proprio perché si è evitato di esaminare l’intero edificio con tutte le conseguenti relazioni urbane, c’è il forte rischio che un luogo già di qualità diventi rapidamente un “non luogo”. Un tale rischio è sempre possibile in un’ipotesi di trasformazione iniziata malamente e condotta a metà, come è avvenuto per certi spazi al coperto o mezzanini e scantinati commerciali presenti in tutte le grandi metropoli come alle Halles a Parigi. Con un poderoso tonfo economico, di forte impatto sociale, rispetto ai primitivi propositi di lauti e rapidi guadagni.

Se si perde di vista programmaticamente la più elementare aspirazione di aumentare la qualità architettonica della città, recuperando i suoi vecchi monumenti e arricchendola con altri nuovi. Se il fine è solo quello di catturare, sedurre e dare risposte mercelogiche a cento milioni di visitatori, dal grande cratere che sta per aprirsi al centro della Galleria dei passeggeri non può che emergere un dato epocale che fa molto pensare. A questo punto, allora, non ci si dovrebbe più interessare di oggetti, ma si dovrebbe parlare piuttosto di valori. Perché qui sono in gioco proprio i valori.

Un filosofo americano ha recentemente affermato, che negli anni Sessanta contava “il gruppo”, negli anni Ottanta “l’individuo” e che i prossimi anni Duemila-Deumiladieci saranno caratterizzati da una netta contrapposizione: o “Dio” o “il dollaro”, in pratica: o gli integralismi o i profitti.

Come europeo, penso che possiamo avere di più. Il filosofo tedesco vivente Erzensberger ha affermato che il lusso del futuro non sarà costituito dai beni, ma dalla grande disponibilità di spazio e di silenzio.

Abbiamo oggi una stazione molto vasta, che accoglie spazi maestosi e ancora silenziosi, quindi abbiamo già il lusso. Per inseguire mestamente il dollaro imponendo il paradiso del mercato a cento milioni di passeggeri, rischiamo di perdere per sempre quella consapevolezza del lusso collettivo, che da ora in poi rappresenterà un bene sempre più raro.

 

11 gravi manomissioni di un edificio: il  progetto di grandi stazioni

 

Vestendo i panni del rappresentante di una categoria professionale che analizza le qualità di un nuovo progetto per conto della sua città, mostrerò, in 11 punti, le radicali novità che comporta l’attuazione del nuovo colossale intervento approvato in via amministrativa il 14 marzo 2003: il primo punto riguarda lo stravolgimento dell’attuale viabilità con l’allontanamento dei posteggi dei taxi; i 6 punti successivi sono dedicati all’ingiustificata manomissione di un edificio vincolato e gli ultimi 4 punti prendono in esame i seri disagi creati per sempre all’utenza, con la chiusura della storica via d’ingresso principale al fine di valorizzare le due entrate di accesso laterali.

 

1.                  L’allontanamento dei posteggi dei taxi

Il progetto Grandi Stazioni prevede lo stravolgimento dei sistema viario attraverso l’allontanamento dell’attuale posteggio dei taxi dall’uscita della Galleria di testa e la sua ricollocazione ai lati delle facciate est ed ovest dell’edificio. Un sistema di pensiline (che nel caso della facciata ovest si appoggia alla facciata!) dovrebbe delimitare le nuove aree taxi. Le distanze binari-taxi raddoppiano con evidenti disagi per i passeggeri.

 

2. La pedonalizzazione della galleria delle carrozze e le rampe mobili di accesso alla metropolitana.

Il nuovo progetto di Grandi Stazioni parte dall’obiettivo evidente di incentivare l’attraversamento di un flusso incessante di folla all’interno di una sorta di grande magazzino a più livelli. Così com’è stato già segnalato da Marco Biraghi nell’articolo Supermarket Milano Centrale pubblicato da Casabella nell’aprile 2003. L’estensione delle rampe mobili non rappresenta una soluzione, bensì è il centro del problema. La chiusura del percorso d’ingresso, che oggi passa attraverso l’atrio delle biglietterie, implicherà una radicale modifica d’uso anche della Galleria delle Carrozze o stravolgerà il facile accesso ai taxi. Il progetto finora noto resta qui assai sfumato. Ciò lascia ancora molti dubbi che verranno sciolti solo tra 4-5 anni, a lavori finiti, quando sapremo quale sarà il vero destino di uno spazio così unico e così carico di una forte identità architettonica.

Una soluzione di maggior buon senso sarebbe quella di limitarsi al riuso dei molti spazi sotterranei ora non utilizzati e abbandonati al degrado sociale. Senza colossali disegni si potrebbe recuperare subito quasi un intero piano che si trova sotto la Galleria degli arrivi e in continuità con il piano terra. Ma la proposta presentata da Grandi Stazioni non è del tutto chiara. Volutamente non è stato mai presentato un progetto complessivo per il recupero dell’intera sequenza di edifici accostati che compone la Stazione dello Stacchini, con la sua enorme disponibilità di spazi, ma solo parziali stralci. Ciò fa pensare che in realtà ci siano altri piani di sfruttamento immobiliare dell’intero isolato, se non dell’intero quartiere, già decisi, che non sono ancora stati mostrati.

 

3. La misteriosa bussola che chiude l’attuale accesso alla stazione.

Oggi si accede alla stazione attraverso sette ingressi monumentali, tre dei quali collegano la Galleria delle carrozze all’Atrio delle biglietterie: sono queste le vere porte di Milano. Nel discutibile progetto di Grandi Stazioni questi tre ingressi vengono chiusi da una bussola, che si presenta come una smisurata vetrina, come un paramento luminoso, come un improbabile schermo pubblicitario. La barriera vetrata vuole scoraggiare ingresso centrale per favorire quelli laterali.

Si prevede anche di trasferire definitivamente le biglietterie definite nelle tavole “servizi primari”, quindi attività complementari ai “servizi secondari”, termine con il quale vengono denominati i negozi. Un curioso destino che finge di privilegiare una pubblica utilità, impedisce di utilizzare nelle relazioni e nei conteggi il termine più realista di “attività commerciali”.

 

4. Le biglietterie laterali invase dai soppalchi

Nel nuovo progetto di Grandi Stazioni sono previste molte modifiche per i locali a piano terra, accanto all’Atrio delle biglietterie. I locali con i servizi al viaggiatore verranno allontanati. Al loro posto, dobbiamo immaginare quattro grandi megastore, articolati internamente su molti livelli. Non più i due livelli attuali, ma cinque, o forse più, piani d’uso. Attrezzati per mettere in vendita cibi, abiti, articoli sportivi.

Non è stata ancora abbastanza definita la qualità architettonica ed estetica dei nuovi tramezzi, né dei soppalchi, né delle pareti fisse. Non si conoscono neppure le nuove proporzioni dei locali di servizio e degli ambiti di passaggio. Si ricorda solo che oggi tra il piano di entrata, alla quota della galleria delle carrozze o taxi, e il piano del ferro, cioè quello dei binari, c’ è un volume alto 7,40 metri che sarà “sapientemente” suddiviso in porzioni orizzontali rovinando l’integrità di un’antica sequenza di stanze monumentali. Saranno ricavati vari piani alti circa 3,40 metri, una misura che non può essere considerata di buona qualità spaziale. Si prefigurano spazi con una vivibilità addirittura inferiore a quella di molte stanze pubbliche in cui oggi viviamo o lavoriamo quotidianamente. La stessa misura si ripeterà nei corridoi di attraversamento per tutti i quattro piani. Purtroppo per milioni di passeggeri, sarà essa a definire, nel futuro, l’altezza delle  nuove porte di accesso alla città di Milano.

 

5. Luci al neon e ingombranti vetrine per le nuove balconate commerciali verso i binari

Nei modelli presentati tutto sembra trasparente. Invece, un nuovo piani di ingombranti botteghe taglierà la base delle grandi arcate che separano la Galleria degli arrivi dalle cinque superbe coperture a volta, erette a protezione dei binari. A parte il risultato estetico, che sarà del tutto diverso da quelle amabili simulazioni presentate da Grandi Stazioni nelle tavole di progetto (con immagini che inducono a pensare alle terrazze di un elegante club nautico o al tetto di un vecchio aeroporto turistico), la presenza di nuovi soppalchi, con i conseguenti vistosi ingombri di vetrine e di negozi, comporta un forte rischio di alterazione per le numerose decorazioni: cornici, fregi, marmi ed affreschi ornamentali che caratterizzano la poetica di Ulisse Stacchini. Con queste scelte ci si allontana per sempre da un’altra legittima ipotesi che non è stata neppure presa in considerazione: quella di restituire integralmente alla stazione l’immagine perduta. Per una conoscenza scientifica del monumento si dovrebbero innanzitutto cancellare quei provvisori bar trasparenti collocati all’arrivo dei treni, quella strana fontana diventata oggi un ufficio turistico, ricollocare meglio quei mosaici appesi e pensare al ripristino e alla valorizzazione della situazione d’origine.

La stessa sorte, di dover accogliere forzatamente dei piani commerciali, è prevista anche per le due corte pareti poste a chiusura della Galleria degli arrivi. Anche qui si aggiungono soppalchi e tramezzi invece di eliminare il banale ingombro rappresentato dall’attuale ufficio delle informazioni e dell’inelegante gran caffè. Al contrario, andrebbe recuperato il primitivo e ricercato senso di trasparenza, assicurato dalle originarie sei aperture luminose, volute nel mezzo delle due pareti di fondo. La ricerca di una stretta continuità tra la grande Galleria urbana sopraelevata e le due piazze laterali al piano stradale è un tema essenziale della concezione profonda del progetto iniziale.

 

6. L’apertura di una voragine nella galleria degli arrivi

Una bella immagine ci mostra come si presentava la galleria nel 1931, poco dopo l’inaugurazione. E ci ricorda che, dopo la Galleria Vittorio Emanuele al Duomo, questa

è certamente la seconda suprema Galleria della città, un luogo emblematico e irrinunciabile della storia e della vita  pubblica di Milano. Proprio in questo preciso punto, al centro della sala progettata per ricordare la solennità delle Terme romane, avverrà la trasformazione più violenta e più dolorosa dell’intera operazione di manomissione di un monumento vincolato. Verrà rimosso il pavimento in mosaico e aperto un grande buco per illuminare i piani sotterranei e per far emergere le nuove percorrenze rappresentate dalle scale mobili. Al centro ci sarà una voragine concepita come snodo funzionale a spirale, nel punto di convergenza di tutti i percorsi: uno sconquasso considerato necessario per mettere in moto l’intero processo di trasformazione. E’ evidente come l’impatto sull’antica fabbrica sarà devastante. Mettere al centro un assurdo “buco nero” rappresenta una radicale inversione di senso. Gli stessi attuali progettisti ne sono coscienti. Tanto è vero che si sono trovati costretti a diffondere immagini di prefigurazioni più delicate e poco realiste. Altri architetti hanno però compiuto una semplice verifica dimensionale a partire dalle planimetrie messe a disposizione dal Consiglio di Zona. Ebbene, ne è emersa la vera dimensione del “buco”, e la certezza che nell’elegante sequenza di trasparenze contenuta nel fotomontaggio diffuso da Grandi Stazioni, non siano state riportate le giuste misure, quelle vere. Si è ingenuamente cercato di dimostrare che l’intervento non è invasivo. Ma in un’altra prefigurazione, qui posta a confronto, è stato invece tracciato il vero ingombro, con la delimitazione dell’intera estensione richiesta dal “buco”. Alla fine l’impatto sarà, forse, ancora più molesto: per ragioni di sicurezza, ci saranno centinaia di metri di nuove balaustre, poco trasparenti e molto più robuste, quindi ancora più vistose.

 

7. La perdita dell’integrità architettonica delle 4 sale al piano del ferro.

Sull’esempio delle moderne Stazioni di Francoforte e di Lipsia, il progetto di Ulisse Stacchini prevedeva quattro grandi sale a livello del piano pedonale dei binari, destinate ad accogliere fondamentali servizi per i passeggeri. Queste sale esistono tuttora, anche se gli usi sono in parte mutati. Percorrendo la Galleria da ovest ed est, s’incontra l’ex Sala ristorante di terza classe ora Deposito bagagli, l’ex Sala d’attesa di terza classe ora Club Eurostar, l’ex Sala d’attesa di prima e seconda classe (che accoglie ora l’ufficio del turismo, lo spazio Telecom e vari negozi come quello di pietre fossili) e infine l’ex Sala ristorante di prima e seconda classe ora chiusa e inutilizzata.

Nel progetto di Grandi Stazioni, in ognuna di queste quattro eccezionali sale, alte ciascuna una quindicina di metri, si prevedono vistosi soppalchi che modificano profili e proporzioni. Questo comporta un indubbio rischio per gli affreschi e per i partiti decorativi. Secondo semplici considerazioni funzionali, altri guasti deriveranno dalla necessità di creare ulteriori passaggi e scale per raggiungere le nuove quote.

Una serie di simulazioni visive, qui allegate, permette di stabilire un diretto confronto tra la situazione originaria della sala e la trasformazione futura. L’inserimento del nuovo solaio a circa 3,40 metri dall’attuale piano di calpestio, più un metro circa di spessore tecnico, in uno spazio dilatato fino a 15 metri d’altezza, provocherà la penosa fruizione a due spazi angusti sovrapposti, occupati dalle vetrine delle nuove attività commerciali. Due modi d’uso di elementare semplicità ma sufficienti a far scomparire l’immagine solenne e decorosa di quattro navate che alludono ad antiche basiliche. Mi sono chiesto con quali materiali verranno costruite tali moderne superfettazioni, con gli stessi marmi veri o finti dello Stacchini? La risposta è venuta da un articolo pubblicato su “L’Espresso”, una specie di auto-intervista che l’architetto Tamino ha rilasciato nel novembre 2002, dove dice che per ragioni di economia aziendale, cioè di corporate identity o di massimalizzazione dell’uso delle componenti tecnologiche, tutti i materiali edilizi saranno comuni a tutte le trasformazioni di stazioni che vengono simultaneamente progettate da Grandi Stazioni. Con quali conseguenze nella qualità architettoniche? Vedremo ovunque gli stessi soppalchi, magari prodotti da un’unica ditta, in tutte le principali 13 stazioni d’Italia. In questo modo, un eccelso luogo di elaborazione di moderni miti qual è il museo della partenza e dell’arrivo, può rapidissimamente diventare un “non luogo”. Sarà considerato una specie di anonimo corridoio, un ambito caratterizzato da modi di vita di banale livello oppure, addirittura, come sostiene Francesco Dal Co, diventerà un junkspace, un luogo spazzatura, un triste fondo di scena di cui non abbiamo minimamente bisogno.

Con la serrata esibizione di merci e prodotti esposti andrà così perduta l’integrità della sala d’attesa, con le sue grandi decorazioni parietali dedicate alle città d’Italia, tracciate ad ispirazione delle stazioni francesi, quale la Gare de Lyon. Saranno tranciati i dipinti di Marcello Nizzoli, pittore futurista, architetto e designer, che mostrano le città di Padova, Assisi, Pisa, Napoli, Bologna, Trieste. Andrà pure perduta la vista della sala ristorante con gli affreschi un po’ dimenticati che completavano il ciclo celebrativo di Pietro Lavagnini, una raffinata testimonianza d’arte che rendeva la stazione qualcosa di più di un luogo di partenza: una sorta di monumento evocativo della cultura milanese.

 

Le modifiche dei percorsi di accesso e i disagi per l’utenza.

 

8. Raddoppia la lunghezza dei percorsi per i viaggiatori

Mediante varie operazioni riportate nelle tabelle allegate è stata calcolata la lunghezza del percorso che oggi compie ogni passeggero per recarsi dalla metropolitana ai binari: 178 metri. Nel progetto di Grandi Stazioni il nuovo percorso si allunga a 332 metri, misurati sempre dagli stessi punti finali, passando sia di sopra sia di sotto, ma utilizzando l’entrata laterale e procedendo prima attraverso il nuovo varco, poi attraverso i tapis roulant o le rampe mobili. Ecco un primo fattore di disagio. I tratti verticali e orizzontali non sono più messi in sequenza diretta: perché il grande fine dell’intera operazione non è di condurre milioni di viaggiatori ai binari, ma di forzare milioni di consumatori a rigirare negli spazi sempre più dilatati di un ipermercato.

Un’analoga situazione emerge dal calcolo della lunghezza del percorso attuale misurato dal punto di arrivo dei taxi, ora nella Galleria delle carrozze, all’inizio dei binari: 129 metri. Nel progetto di Grandi Stazioni il percorso si allungherà a 207 metri, calcolati a partire dalla nuova postazione dei taxi spostata alla fine di una pensilina esterna lunga oltre sessanta metri, fino all’inizio dei binari. In pratica, il percorso è quasi raddoppiato in termini di distanza. Non è invece calcolabile l’aumento del tempo che sarà necessario per raggiungere i binari, dato l’obbligo di attraversare i luoghi dello shopping. Ecco un secondo fattore di disagio.

E’ stata anche calcolata la lunghezza del percorso inverso: dall’inizio dei binari alla più vicina fermata dei taxi, nella Galleria delle carrozze. Oggi, attraverso le scale mobili, si esce molto rapidamente attraverso un percorso di 162 metri. Dall’esame degli elaborati che presentano il definitivo assetto urbanistico degli spazi pedonali e le previsioni di uso della piazza circostante, che costituiscono parte integrante del nuovo progetto di Grandi Stazioni, la lunghezza del percorso di uscita, dai binari alla fermata dei taxi posti in Piazza Luigi di Savoia e in Piazza 4 novembre, presso le nuove entrate della stazione, diventa di 280 metri. Con ulteriori complicazioni, perché sono previsti due punti diversi di arrivo, di carico e scarico dei taxi differenziati.

La tabella conclusiva dimostra come la scienza esatta possa ancora fare qualcosa per aiutare il cittadino nella comprensione del progetto. Sono stati contati e ricontati tutti i percorsi, e sono stati confrontati tutti i dati emersi con quelli dichiarati dal progetto di trasformazione. La differenza in percentuale diventa un incremento del 123% per il percorso dalla metropolitana, del 82% dai taxi, e del 90 %. dal lato della Piazza Luigi di Savoia.

Conclusioni simili si ricavano calcolando i tempi impegnati. Nell’assai poco limpido prospetto proposto dai progettisti si è cercato di fare intendere che chi è trasportato dal tapis roulant si deve inconsciamente considerare come un soggetto in movimento. Ne risulta il paradossale esito, vistosamente antiscientifico, che malgrado il percorso si sia allungato, talvolta anche raddoppiato, i tempi impiegati rimarrebbero, in pratica, gli stessi di prima.

 

9. Più code agli sportelli: si riduce il numero delle biglietterie

Secondo le intenzioni ben esplicite del nuovo progetto approvato, le biglietterie sono collocate al piano terra, nel punto interno più inaccessibile e più lontano da tutti gli ingressi, in una posizione poco convincente, che si trova addirittura sotto il piano della massicciata dei binari. Tale meta obbligata è illuminata dall’alto da una luce indiretta, che spiove dal nuovo “buco”, proveniente da lucernai distanti circa trenta metri. Il disagio per il viaggiatore sarà notevole. Non solo si perdono punti in termini di accessibilità, ma addirittura si riducono in superficie, in estensione e in numero, gli sportelli aperti al pubblico. Forse nel futuro, in tempo di internet, le lunghe code allo sportello sono da considerarsi rituali sociali superati. Ma certo non saranno esaurite tanto presto le file che si prevedono davanti alle nuove casse, poste alla fine dei percorsi commerciali. Altra sicura causa di forte disagio per l’utenza.

10. Uno spazio sottratto alla collettività: l’atrio delle biglietterie

L’attuale atrio delle biglietterie perderà la sua forte qualità urbana legata all’originaria funzione di luogo di attraversamento e di attesa al coperto. Sarà anche reso poco accessibile e mascherato dalla colossale vetrina-schermo. Nel futuro sarà trasformato in una rarefatta sala milanese disponibile per eventi di qualità. La relazione di Grandi Stazioni allude a banchetti, convention, sfilate di moda, esposizioni. Per qualsiasi uso diverso, dettato da principi di produttività, saranno necessari nuovi progetti di trasformazioni, per ora non rivelati. Certamente il disegno del suo perimetro interno non potrà restare a lungo così com’è adesso. Nei fatti, nel futuro, alla sala si accederà solo a pagamento determinando la perdita di un importante spazio per la collettività.

 

11. Come si trasforma un monumento in un grande magazzino

Nel nuovo progetto di trasformazione le superfici a disposizione per gli spazi commerciali, che sono ambiguamente chiamati “servizi secondari ai viaggiatori”, vengono raddoppiate. A parte i bar e i ristoranti indicati nelle tavole, si parla di magazzini e di vendita di abiti, di articoli sportivi, di agenzie di viaggio e di sportelli bancari. Dai 13.886 mq. di oggi si passa ai 26.303 mq. del domani,  con un aumento dell’89%. Nel calcolo dei 13.886 mq sono compresi anche spazi chiusi da anni come il Diurno, il Cinema, e il Ristorante. Il piano sotterraneo non viene utilizzato come si potrebbe, mentre la maggior parte dei nuovi spazi è ottenuta grazie ai soppalchi al pianoterra (+ 3300 mq) e al piano del ferro (+ 3218 mq).

E’ evidente che il finanziamento dell’intera operazione in project financing (due anni fa erano 80, ora sono 100 milioni di euro) è ottenuto facendo leva sugli affitti degli spazi commerciali.

Oggi tra dipendenti ferroviari, negozianti, addetti ai servizi e alla sicurezza lavorano nella Stazione Centrale circa 5000 persone. Nel futuro le presenze attive in quella che si prefigura essere una sorta di nuova città degli affari, aumenteranno ancora. A progetto realizzato, gli spazi commerciali, denominati nel gergo dell’innovazione “servizi al viaggiatore di seconda utilità”, saranno aumentati dell’80% al livello del piano interrato, del 297% al piano terra, del 268% all’ammezzato, del 68% al piano dei binari. In generale, a trasformazione finita, saranno aumentati in media del 89%. Quindi si può ben prevedere che grazie ai nuovi soppalchi, forzatamente  creati nei diversi anfratti del silenzioso monumento vincolato, raddoppieranno sia le attività che la congestione. Come per ogni piccolo frammento di metropoli che si trasforma, aumenterà l’affollamento, il logoramento delle strutture e il rischio di danni imprevisti.

 

Lo storico privilegio dell’avversione ai monumenti: una tradizione milanese

Dopo i recenti interventi effettuati al Teatro della Scala, già ricordati nelle pagine del precedente numero di questa rivista, è necessario, alla fine, porsi una domanda. Come può accadere che la città di Milano nel suo complesso, con i suoi cittadini, i suoi intellettuali, la sua stampa e la sua classe dirigente, possa oggi, per davvero, per qualche attimo, smettere di comprendere il valore della memoria e del silenzio, non apprezzare la grande qualità artistica dei luoghi antichi e moderni, smettere di farsi vanto dell’unicità irripetibile di taluni spazi architettonici singolari e inconsueti?

Resta pur sempre un dubbio. Quando l’avvenire della città viene brutalmente posto di fronte ad esplicite leggi dell’economia, a Milano la cultura tace. C’è chi resta addirittura ammirato da questo franco scontro tra titani e chi, invece, teme di essere giudicato corresponsabile del delitto ideologico di lesa maestà contro la solare autorità del buon investimento finanziario. A queste condizioni il dissenso non diventa neppure beffa o atto politico, ma si interiorizza e sopravvive come esitazione, dimenticanza, rimpianto di altre lontane occasioni perdute.

Come diretta conseguenza della sindrome di Rovani, resiste un previlegio: un irrisolto fattore di ammirazione intellettuale verso le fratture che il progresso comporta.

L’architetto milanese Aldo Rossi, senza dubbio colto scrittore, così riportava nel suo saggio Milano. Architettura della città: «Riprendendo la polemica del Cattaneo per la difesa dei monumenti antichi iniziata con il bellissimo articolo del “Politecnico” del 1839, Giuseppe Rovani nella “Gazzetta” del 1856 scriveva: la nostra città ha in proprio da gran tempo un triste privilegio, il privilegio dell’avversione ai monumenti antichi».

Questo può spiegare come possa accadere ancor oggi che tra i cittadini e gli intellettuali si manifestino momenti di amnesia, o venga provvisoriamente meno una positiva tensione verso un più generale interesse civile.

La città cambia e i fronti in movimento sono molti. Da qualche tempo, per esempio, al mito della percorribilità viabilistica si è sostituito quello della commerciabiltà degli spazi liberi posti al coperto. La speculazione finanziaria, mascherata da innovazione, ha iniziato ad aggredire i cavi ed eleganti volumi di tanti spazi interni di qualità, progettati intorno alla metà del secolo scorso. Ad uno ad uno si stanno perdendo i razionali interni di vecchie fabbriche, ma anche le nitide sale di piccoli cinema di quartiere ormai in disuso. Così si cancellano persino le luminose e ancor funzionanti agili rampe di moderni garage.

Oggi corrono forti rischi anche spazi ben più frequentati e tenuti meglio in osservazione. Che ne sarà fra qualche anno della spoglia sala Rondanini al Castello Sforzesco, delle vuote torri dell’Arengario, dei muti volumi di molti edifici di Giovanni Muzio, a cominciare dal Palazzo dei giornali, o delle eclettiche, ma pur sempre poco visibili quinte a più piani che delimitano la stessa elogiata Galleria, l’affollato cuore di Milano? Chi incontreranno i nuovi abitanti? Merci o muse.

 

CRONOLOGIA ( a cura di Michele Sacerdoti)

 

 

1998

Le Ferrovie dello Stato costituiscono la società Grandi Stazioni, con l’obiettivo di riqualificare e gestire i 13 maggiori complessi ferroviari italiani. Viene firmato un contratto di gestione della durata di 40 anni.

 

9 Febbraio 2000

In seguito alla procedura di privatizzazione avviata da Ferrovie dello Stato S.p.A. il 40% della società viene ceduto in seguito ad una gara alla cordata Schema 24, costituita dal Gruppo Pirelli, Gruppo Benetton, Gruppo Caltagirone, Ferrovie Francesi. La cordata valuta la società 1000 miliardi di lire e paga 400 miliardi. Dopo l’acquisizione la cordata cambia nome in Eurostazioni.

 

Maggio 2000

Viene presentato nella Sala Presidenziale della Stazione Centrale di Milano un primo schema progettuale di ristrutturazione, sul modello di quanto realizzato alla Stazione Termini di Roma

 

Novembre 2000

Il Consiglio di Amministrazione di Grandi Stazioni approva un piano di sviluppo per il periodo 2001-2003 con investimenti globali di circa 584 miliardi di lire, 30 miliardi di utile nel 2001 e 60 miliardi nel 2004, fatturato di 220 miliardi nel 2001 e 314 miliardi nel 2003. La missione aziendale passa dalla mera gestione degli spazi ad un’ampia creazione di valore sui propri asset, grazie alla valorizzazione dei flussi caratteristici dei grandi poli di interscambio trasportistico.

 

17 Novembre 2000

Grandi Stazioni presenta alla stampa il Piano operativo per la totale ristrutturazione delle grandi stazioni. Per Milano è previsto un incremento del 92% dei servizi primari e secondari, prevalentemente commerciali, il soppalcamento della Galleria delle Carrozze e di tutti i saloni interni.

 

22 Novembre 2000

In seguito all’uscita di alcuni articoli sulla stampa, la Sovrintendente di Milano Di Francesco chiede informazioni a Grandi Stazioni, che risponde il 12/1/01 che quanto presentato era solo il Piano di Impresa ma che, in considerazione del valore storico ed architettonico della stazione, sarebbe stato avviato un rapporto di collaborazione con la Soprintendenza sui contenuti e caratteristiche delle opere da attuare.

 

Gennaio-Luglio 2001

Si svolgono una serie di incontri e sopralluoghi tra l’arch. Tamino di Grandi Stazioni e la Soprintendenza di Milano per definire il progetto preliminare.

 

Luglio 2001

Un gruppo di docenti della Facoltà di Architettura di Milano scrivono alla Sovrintendenza una lettera di critica alle linee guida del progetto preliminare, opponendosi alla chiusura della Galleria delle Carrozze, alla creazione di soppalchi su due livelli al suo interno, alla creazione di mezzanini nel Salone Biglietterie e nella sale laterali, ai mezzanini nei quattro saloni al piano dei binari, alla balconata sui binari, alla bucatura della Galleria di Testa con i tapis roulants.

 

Agosto 2001

Grandi Stazioni presenta ufficialmente il progetto preliminare alla Soprintendenza, ma non al Comune di Milano né alla Regione Lombardia.

 

24 Ottobre 2001

La Soprintendenza richiede l’eliminazione dei soppalchi nella Galleria delle Carrozze e delle vetrate di chiusura e l’eliminazione o riduzione degli altri soppalchi, in quanto invasivi dell’architettura “gigante” che caratterizza le pareti qualificando gli ambienti, mentre approva le nuove rampe mobili di collegamento tra la nuova biglietteria e la Galleria di testa, chiedendo di salvare le parti di mosaico ricollocandole in altro luogo.

 

20 Dicembre 2001

Il Consiglio di Zona 2, che si tiene costantemente informato sull’evoluzione del progetto, ottiene copia del progetto preliminare dalla Sovrintendenza.

 

21 Dicembre 2001

Il Progetto di Grandi Stazioni viene inserito dal CIPE nel programma delle opere strategiche della Legge Obiettivo e quindi può avvalersi delle procedure di approvazione rapida previste dalla legge, che prevede lo svuotamento dei poteri delle Conferenze di Servizio e il possibile scavalcamento dei pareri delle Sovrintendenze ed Enti Locali.

 

29 Marzo 2002

In seguito alla presentazione di nuove tavole la sovrintendenza chiede l’eliminazione dei mezzanini nel salone biglietterie, la riduzione della balconata sui binari limitandola all’ambito della gallerie laterali, l’allontanamento dai muri degli altri soppalchi con un rendering che ne verifiche l’inserimento nei singoli spazi. Chiede inoltre un dettagliato progetto di restauro degli apparati decorativi e la formulazione del progetto dell’apparato segnaletico-informativo.

 

8 Maggio 2002

Italia Nostra e il Coordinamento Comitati Milanesi organizzano un dibattito sul progetto preliminare in cui emergono sostanziali rilievi al progetto sia dal punto di vista estetico che funzionale e danno vita ad una coalizione civica che chiede l’audizione pubblica delle Commissioni Urbanistica ed Edilizia del Consiglio Comunale.

 

2 Luglio 2002

Il Consiglio di Zona 2, esaminato il progetto preliminare, chiede di essere coinvolto nell’esame del progetto definitivo e chiede un incontro con i progettisti di Grandi Stazioni.

 

1 Settembre 2002

Il Governo Berlusconi vara il regolamento attuativo della Legge Obiettivo (D.Lgs 190/02) in cui vengono stabilite le modalità di approvazione ed esecuzione delle opere strategiche nel massimo dettaglio. Il Ministero dei Trasporti può con propria istruttoria approvare o respingere le richieste di prescrizione di Soprintendenze ed Enti Locali. Il potere delle regioni viene limitato.

 

9 Settembre 2002

Grandi Stazioni invia il progetto definitivo del recupero ed adeguamento funzionale delle Grandi Stazioni a Soprintendenze, Regioni, Comuni, Vigili del Fuoco, ASL che devono inviare entro 90 giorni le loro richieste di prescrizione al Ministero dei Trasporti. Viene convocata una conferenza di servizi per il 25 novembre a Roma, ma senza poteri effettivi di discussione ed approvazione dei progetti. Viene inoltre inviato il progetto preliminare per le sistemazioni viabilistiche esterne alle Regioni. Il progetto definitivo lascia aperta la Galleria delle Carrozze ed elimina i soppalchi in questa e nel Salone Biglietterie. Gli altri soppalchi rimangono invariati, nonostante le richieste della Sovrintendenza.

 

Settembre-Novembre 2002

Il Comune di Milano affida l’esame del progetto all’Ufficio Piccole Opere del Settore Concessioni ed Autorizzazioni Edilizie ed al Settore Traffico per le opere esterne. Queste prevedono la costruzione di un parcheggio sotterraneo di 1000 posti auto e 4 piano interrati in Piazza Luigi di Savoia e le tettoie esterne per i posteggi taxi, che vengono tolti dalla Galleria delle Carrozze. La Regione esamina sia le opere interne che le esterne nei propri uffici tecnici.

 

Novembre 2002

I consiglieri comunali del centro-sinistra chiedono di poter esaminare ed approvare il progetto in commissione urbanistica, prima che scadano i termini per la presentazione delle prescrizioni. La Giunta Comunale approva il progetto con alcune prescrizioni ignorando il Consiglio Comunale. Le prescrizioni riguardano l’ampliamento della tettoia dei taxi in Piazza Luigi di Savoia, nuovi parcheggi per gli spazi commerciali in via Tonale, un collegamento con la fermata degli autobus in viale Brianza. Il progetto non viene esaminato dalla Commissione Edilizia né dal Consiglio di Zona 2 che chiede l’invio del proprio Presidente alla Conferenza di Servizi del 25 novembre.

 

26 Novembre 2002

Repubblica pubblica un articolo fortemente critico dell’arch. Jacopo Gardella.

 

3 Dicembre 2002

Il progetto viene finalmente presentato al Consiglio Comunale ma senza la possibilità di esprimere osservazioni.

 

4 Dicembre 2002

La Sovrintendenza invia le proprie osservazioni alla Conferenza di Servizi. Viene ribadita la richiesta di rivedere i soppalchi, di spostare l’uscita delle rampe dal metrò dal centro della galleria delle carrozze e di presentare un progetto di restauro.

 

6 Dicembre 2002

La Giunta della Regione Lombardia approva le prescrizioni, senza esame da parte del Consiglio Regionale. Viene richiesto lo spostamento della biglietteria, una migliore suddivisione dei flussi dei viaggiatori, un miglioramento delle aree di attesa dei taxi.

 

9 Dicembre 2002

Si chiude a Roma la Conferenza di Servizi, priva di effettivi poteri decisionali. I Verdi, Italia Nostra, il Coordinamento del Centro Sinistra inviano il proprio articolato parere negativo sul progetto, anche se non richiesto, a fronte dello scavalcamento del consiglio comunale e dell’opinione pubblica milanese.

 

11 Dicembre 2003

Grandi Stazioni presenta il progetto al Consiglio di Zona 2 fuori tempo massimo, il progetto viene violentemente criticato.

 

Dicembre 2002

Articoli critici sul progetto escono sulla stampa milanese.

 

Gennaio-Febbraio 2003

Il Ministero dei Trasporti esamina le osservazioni pervenute. Le osservazioni della Sovrintendenza sui mezzanini vengono respinte in quanto configgono con le esigenze funzionali del progetto. I mezzanini vengono scambiati nell’istruttoria per magazzini.

 

14 Marzo 2003

Si riunisce il CIPE per l’approvazione del progetto definitivo delle 13 grandi stazioni e del progetto preliminare per le opere esterne. I Verdi, saputo l’esito dell’istruttoria, ottengono che i pareri delle Sovrintendenze vengano tutti considerati come prescrizioni che i progetti esecutivi dovranno rispettare in modo sostanziale. Il Governo finanzia solo le opere esterne, quelle interne sono tutte finanziate da Grandi Stazioni, che si avvale della Legge Obiettivo solo per l’accelerazione delle procedure di approvazione. Per Milano il costo previsto è di circa 107 milioni di euro.

 

Marzo 2003

I Verdi ottengono copia del progetto definitivo e di tutta la documentazione presentata al Comune di Milano. Si conferma il raddoppio delle superfici commerciali e l’allungamento delle percorrenze dei viaggiatori per raggiungere i treni.

 

Aprile 2003

Un editoriale di Casabella è fortemente critico del progetto, chiamato Supermarket Stazione Centrale.

 

5 Maggio 2003

L’Ordine degli Architetti di Milano organizza un dibattito sul progetto in cui il progettista arch. Tamino è sottoposto a forti critiche da parte del Prof. De Poli e dalla prof. Bossaglia. Il progetto viene difeso dal Presidente di Assolombarda Perini in sala ed in un successivo articolo sul Corriere della Sera.